venerdì 25 aprile 2008

I Magi, Gesù e la religione noachide

Il racconto evangelico ci parla di tre saggi d'Oriente - magoi li chiama Matteo 2:1, ossia sacerdoti della religione mazdea, zoroastriana - che resero omaggio a Gesù con oro, incenso e mirra (Mt.2:11). I motivi per cui il Vangelo ci dice questo sono stati interpretati in vari modi. La nascente chiesa cristiana mirava a un' espansione oltre i confini del contesto ebraico, e ad Antiochia, ove la lezione di Matteo avrebbe preso corpo, esisteva una fiorente comunità zoroastriana; l'inserimento della leggenda dei Magi nel tessuto evangelico avrebbe così avuto il senso di una dimostrazione dell'universalità di Gesù, segnatamente della sua messianicità: i discepoli di Zarathushtra attendevano - e ancora attendono - il Saoshyant (soccorritore, salvatore) e Gesù, secondo i suoi seguaci, rappresentava l'adempimento di quella speranza, come di quella degli Ebrei che invocavano il mashi'ach (il discorso sul "Dio sconosciuto" tenuto da Paolo nell'Areopago ateniese, in At.16, avrebbe avuto funzione analoga rispetto alla religione greca). Non dimentichiamo, inoltre, che i primi detentori del Vangelo di Luca furono Marcione e i suoi discepoli, in una ecclesia che certo prefigurava più il dualismo dottrinale e la sobrietà rituale dei Catari del medioevo che non le idee e le procedure del Cattolicesimo.
Ma a questa lettura, che si basa sullo zelo proselitistico dei primi cristiani, se ne affianca una ben diversa, quella secondo cui Gesù sarebbe stato "agente", in Israele, di una fede derivante dall'insegnamento del profeta Zarathushtra. Forse esseno (e la comunità di Qumran, nella Regola di guerra marcava in senso dualistico l'idea biblica della realtà di una ribellione antidivina nel cosmo), Gesù parla dell'"avversario", l'usurpatore che regna con le sue "legioni" sul mondo, in maniera e con frequenza ignote all'Antico Testamento; la storia dell'Ebraismo ha preso atto di influssi iranici nell'Ebraismo post-esilico, e non è un caso che in Isaia l'imperatore Kurush (Ciro) venga messianizzato, in quanto liberatore di Israele che così può ricorstruire il tempio a Gerusalemme.
Le due interpretazioni sono, in una certa misura, compossibili, se si situa l'opera di Gesù, per così dire, in un punto di intersezione ideale tra Persia e Israele. E l'importanza di quella intersezione è attestata dalla persistenza di una traditio del genere nei secoli successivi alla stesura dei Vangeli canonici. Il settimo cap. del Vangelo arabo-siriaco dell'Infanzia, riprendendo l'episodio della visita dei Magi, afferma aver essa avuto luogo "come aveva predetto Zarathushtra", mentre l'undicesimo cap. del Vangelo armeno dell'Infanzia lo riconduce a un misterioso scritto che, dopo l'uccisione di Abele da parte di Caino, Dio avrebbe dato ad Adamo, insieme alla consolazione del secondo figlio Seth. Costui avrebbe ricevuto dal padre quel testo (contentente "una promessa... in favore dei figli degli uomini") poi trasmesso alla sua discendenza, fino a Noach, da questi a Shem, e attraverso il lignaggio di questi, fino ad Abramo. Il capostipite di Israele lo avrebbe affidato a Melkitsedech, il re-sacerdote di Salem (la proto-Gerusalemme), che lo avrebbe trasmesso al suo lignaggio, fino a che, ai tempi di Ciro, il documento sarebbe entrato in possesso dei Persiani (pare sottintesa, qui, l'idea di un premio per la magnanimità dell'achemenide verso il popolo d'Israele). Dunque, in questo apocrifo si pone una genealogia spirituale che collega l'Iran mazdeo non solo a Israele, ma addirittura al ministero spirituale di Adamo, l'uomo-archetipo.

Ma qui vogliamo porci in una prospezione (o in una retrospezione) ulteriore rispetto sia all'una che dall'altra quelle fino ad ora esaminate, ipotizzando che sia ragionevole identificare nella cifra noachide il collante tra i Magi e Gesù. E non sulla pase del passaggio attraverso Noach di una promessa messianica, come ci dice il Vangelo armeno (il quale pure, come quello di Matteo, potrebbe aver inteso utilizzare una ierostoria di quel tipo per predicare più agevolmente il Cristo agli Armeni, che erano di religione zoroastriana), bensì attraverso l'idea della giustizia, tzedakah. Infatti, dopo i Profeti (Isaia 45:8: "Stillate, cieli, dall'alto, e le nubi facciano piovere la giustizia", Michea 6:5: "Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che il Signore richiede da te: praticare la giustizia) è Gesù che in Israele pone al centro della religione la suprema forma della morale: "Cercate prima il regno e la giustizia di Dio..." (Mt. 7:33).
Sì, il rav di Nazareth, secondo la tradizione massonica noachide, si colloca nel lignaggio degli 'ishim tzaddikim, gli uomini giusti e come tali dehni di partecipare dell'essenza divina: una testimonianza di notevole suggestione la troviamo nel rituale del primo dei tre gradi del Rito Swedenborghiano, dove esplicitamente si interpreta l'omaggio dei Magi a Gesù come atto di culto noachide (dunque non idolatrico, ma simbolico):

"Questa antica religione (...) e la sua natura simbolica, sono visibili negli atti dei
Saggi d'Oriente che resero omaggio al Cristo nella Natività. Essi portarono in dono
oro, incenso e mirra, e una stella li precedeva. La stella che li guidava era il simbolo della conoscenza celeste direttrice; l'oro, del bene più puro relativo a Dio (...); l'incenso, profumato e gradevole, del bene secondario rivolto al nostro prossimo; la mirra, del bene inferiore rivolto a noi stessi, e ciò in quanto essa, ancorché preziosa (...), ha un'intrinseca amarezza.
Questi tre doni - a Dio, al prossimo e a noi stessi - costituiscono e tre elementi di ogni culto autentico e (...) di una vera umanità massonica".


Ma secondo una interpretazione cristiana di Gesù - che da noachide non avrebbe fondato alcuna nuova religione né mai avrebbe considerato se stesso figlio di Dio, se non in senso elettivo, o "adozionistico" - Egli avrebbe manifestato la grazia e non la Legge, e la rivelazione più alta di ciò starebbe nelle Beatitudini. Ora, Gesù stesso si presenta come colui che porta a compimento la Legge e, partendo da quella ebraica, la spiritualizza (si potrebbe dire che la chiave del suo ministerio sta nel rendere Legge lo Spirito), dunque la estende fino alla universalità: ecco allora che il semplice precetto mosaico contro l'adulterio diventa nelle sue parole un monito a neppure atteggiarsi in modo da suscitare in sé o in altri la tentazione a commetterlo (Mt. 5:27-28). Certo, nelle Beatitudini vi sono i passi sul non opporsi al malvagio che sembrano lontani dallo spirito noachide, ma a proposito si possono fare le seguenti riflessioni: 1) in altri passi - un solo esempio: la cacciata dei mercanti dal Tempio - Gesù rivela una tempra militante; 2) nella tradizione profetica è previsto che il Messia porgesse "la guancia a coloro che mi strappavano la barba (Is. 50:6-7), ma con l'aiuto di Dio il suo volto sarebbe divenuto "duro come pietra" ; 3) in vari punti del Vangelo Gesù, e nelle stesse Beatitudini (Mt. 5:26) si riferisce alla legittimità delle pene secolari e alla necessità di risarcimento del danno, dunque è chiaro che il suo insgnamento estremo sul perdono ha carattere paradossale; in qualche misura etologico: come tra i lupi in lotto quello che sta per soccombere offre l'area giugulare e ottiene in tal modo di far facendo l'avversario dal conflitto, così l'uomo mostrandosi vulnerabile può ottenere benevolenza e, soprattutto, spezzare la catena della rappresaglia. A questo proposito scrive Ulfat Aziz us-Samad in Islam and Christianity (Sahaba Islamic Press, Kuwait City 1985):
"Questo [l'insegnamento sulla non-resistenza] costituì forse un necessario correttivoalla durezza di cuore e allo spirito vendicativo prodotti dall'osservanza letterale del- l'insegnamento"occhio per occhio, dente per dente", ma può forse essere considerato universale? O essere praticato come come un sano precetto morale in tutti i casi e in tutte le occasioni? La nom-resistenza al male quando il bersaglio del medesimo non siamo noi ma qualcun altro è un segno di codardia e apatia..."

A queste osservazioni potremmo aggiungere che - come si deduce dal Corano stesso, per restare in un quadro di riferimento islamico - le Scritture cristiane potrebbero aver subito, nel corso del tempo, elisioni e alterazioni decisive, volte magari a giustificare - aggiungiamo noi sulla scorta delle acquisizioni della storia della Chiesa - la piega che le vicende ecclesiali, turbolente fin dagli esordi, venivano prendendo, e a sostenere le opzioni dei partiti teologici vincenti. Non è un caso che nel canone non sia entrato a far parte l'antico - ma gnosticheggiante - Vangelo di Tommaso, o quel Vangelo di Barnaba al quale si richiama, per una cristologia alternativa a quella nicena, la tradizione islamica.
Vale la pena, allora, tornare alla dolce ierostoria della Stella, dei Magi e del Bambino e vedere in essa una epifania non solo del divino nell'umano (senza che ciò implichi alcuna idea di incarnazione esclusiva), ma anche della celeste serenità dell'Arcobaleno apparso a Noach dopo il mabbul, ossia del divino nel cosmico.

Michele Moramarco

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bellissimo! L'unico mio dissenso rimane quello politico, dove penso che la legittimità della pena serva solo a scopo di correzione-riabilitazione e di legittima difesa del resto della comunità, ma non come deterrente né come vendetta-punizione. E inoltre che debbano essere punite solo le cose che fanno del male ad altri, tenendo conto che la libertà finisce dove inizia la libertà dell'altro. L'eutanasia, per esempio, non fa del male a nessuno e come tale dovrebbe essere permessa! Così, il perdòno secondo me dovrebbe esserci sempre, anche verso il peggiore dei criminali, anche se poi, ovviamente, possiamo metterlo in prigione per difendere le prossime sue potenziali vittime finché l'individuo continui ad apparire pericoloso! Ma da qui alla sharia imposta con la forza il passo è ancora molto molto lungo e io non ho la benché minima intenzione di compierlo! D'altra parte è vero che porgere l'altra guancia è un paradosso, compierlo sempre avrebbe una funzione diseducativa verso l'aggressore o addirittura di attivo incoraggiamento alla sua aggressione: lo stesso Gesù, quando percosso, non porse l'altra guancia ma bensì disse 'Se ho detto il vero, perché mi percuoti?'. Non lo prenderai quindi sistematicamente alla lettera quando dice di fare due miglia con chi ci costringe a farne uno, e vedrai questo come un tipico modo di parlare mediorientale, per immagini capaci di colpire l'uditorio ma non da prendere necessariamente così alla lettera! Sul perdòno invece sì, questo penso davvero che dovrebbe avvenire sempre, sempre!!!